Francis Collins, direttore del National Human Genome Research Institute statunitense (NHGRI), ha affermato che ”….praticamente ogni patologia, con la possibile eccezione dei traumi, ha una base genetica”. Tuttavia la predisposizione genetica non è destino.
Alla luce di questa affermazione è possibile comprendere come l’informazione genetica giochi un ruolo fondamentale nella determinazione del nostro stato di salute. Negli ultimi anni sono stati sviluppati sistemi diagnostici basati sull’analisi del DNA in grado di identificare gli elementi determinanti nello sviluppo di moltissime patologie.
Grazie all’evoluzione tecnologica questi strumenti sono ormai a disposizione di tutti, tuttavia l’interpretazione dei risultati, e di conseguenza la comprensione delle informazioni utili per la nostra salute, non è sempre facile per i non addetti ai lavori. In particolare i concetti di ereditarietà, familiarità e predisposizione, risultano fondamentali per la comprensione dello scopo e del risultato di un test del DNA.
Con la parola ereditarietà si fa riferimento ad una o più mutazioni genetiche identificabili, trasmissibili alla propria progenie, che determinano lo sviluppo di una determinata patologia. Quando parliamo di patologie ereditabili facciamo riferimento in particolare alle patologie monogeniche propriamente dette, come la fibrosi cistica o l’anemia falciforme, che si trasmettono con modalità mendeliane. In questo caso c’è un rapporto causa-effetto fra presenza di una determinata mutazione genetica e la patologia. Questo è il tipico campo di indagine dei test diagnostici e di screening.
I test diagnostici sono mirati all’identificazione di mutazioni genetiche responsabili di una patologia conclamata o ipotizzata e hanno un target molecolare ben definito. I test di screening sono sovrapponibili ai test diagnostici per quanto riguarda i target molecolari ben definiti, ma sono mirati alla identificazione di portatori mutazioni genetiche recessive, quindi in grado di determinare la comparsa della patologia nella progenie dei soggetti analizzati. Questi test consentono una interpretazione ben definita e comprensibile, in quando se identificato il fattore genetico oggetto dell’indagine il collegamento con la patologia è diretto.
Per familiarità si intende una situazione in cui nella storia di una famiglia ci sono stati casi multipli di una determinata patologia senza che sia riconosciuto un fattore genetico responsabile. Familiarità ed ereditarietà non sono quindi sinonimi, in quanto le modalità di trasmissione ereditaria sono valutabili all’interno di meccanismi genetici conosciuti, mentre nella familiarità no.
Quando parliamo di predisposizione (o suscettibilità) intendiamo il rischio di sviluppare una determinata patologia. In questo caso la presenza di mutazioni note (in questo caso sarebbe più corretto chiamarle varianti genetiche o polimorfismi genetici) non è di per sé sufficiente a determinare lo sviluppo della patologia che è invece scatenata dalla presenza di fattori ambientali concomitanti (alimentazione e stile di vita scorretti ecc.). E’ questo il tipico caso delle patologie cronico degenerative (Diabete di tipo II, celiachia, patologie cardiovascolari, la maggior parte delle forme tumorali e Alzheimer, ecc.). In questo caso il rischio è determinato dalla presenza contemporanea di numerose varianti genetiche che, a seconda delle patologie, sono solo in parte conosciute.
Allo stesso modo la valutazione delle componenti ambientali scatenanti e di come queste interagiscono con i fattori genetici nello sviluppo della patologia non sono sempre note. Al confine fra ereditarietà e predisposizione si pongono alcuni tipi di forme tumorali (tipico è il caso dei geni BRCA1 e BRCA2 nel tumore alla mammella, caso reso celebre dall’attrice Angelina Jolie), nei quali la presenza di una mutazione specifica aumenta enormemente il rischio di sviluppare la patologia (fino all’87% di probabilità nel caso di mutazioni in entrambi i geni, Judkins T et al. Cancer 2012;118(21):5210-6), senza tuttavia esserne la causa univoca.
La predisposizione genetica è il campo di applicazione dei test predittivi o di suscettibilità genetica. In questo caso i test sono mirati alla identificazione molecolare delle varianti genetiche (in genere numerose) legate allo sviluppo di una determinata patologia e danno come risultato l’aumento (o diminuzione) del rischio nei confronti della media della popolazione. Questo rischio non è da intendere in termini assoluti, in quanto i test non identificano i fattori ambientali che sono concausa dello sviluppo della patologia. Alla luce di questo è chiaro che si può avere alta predisposizione o suscettibilità, ma non ammalarsi mai. I test predittivi sono quindi mirati alla identificazioni dei “punti deboli” del nostro organismo con lo scopo di intraprendere percorsi preventivi atti a minimizzare il rischio ambientale che è un cofattore essenziale per l’insorgenza della patologia.